(Racconti dal viaggio)
di Gianluigi Occhipinti
Siamo al quinto giorno del nostro viaggio in Uganda, ci siamo spostati da Kampala a Mugulu, villaggio rurale del distretto di Mityana, da cui proviene Moses, a circa 60 km da Kampala. L’accoglienza della famiglia di Moses è calorosa e affettuosa.
Il programma prevede che io e Giovanni, con l’aiuto di Marta, una giovane infermiera, che si rivelerà preziosa per quello che è in programma, faremo delle visite mediche presso il centro clinico di Mugulu e in un altro centro clinico vicino. Il pomeriggio precedente facciamo un sopralluogo e ci rendiamo conto che per centro clinico s’intende un locale formato da due piccole stanze, una che dà sulla strada e che fa da farmacia con uno scaffale di legno dove sono esposte poche confezioni di farmaci: antibiotici per lo più, antimalarici, paracetamolo e antinfiammatori… Sul retro c’è un altro piccolo locale che dovrebbe fare da sala visita ma si tratta in ambedue i casi di locali assolutamente inadeguati a questa funzione. Nessuna possibilità di prescrivere accertamenti, siano essi esami ematici o radiografici.
Ci siamo subito scontrati con una realtà sanitaria per noi impensabile e inimmaginabile, le prestazioni sanitarie, siano esse visite o accertamenti diagnostici e le relative terapie mediche o chirurgiche sono a pagamento. Dell’episodio della bimba con la malaria ne ha già parlato Benedetta, la nonna faceva resistenza a portarla al centro medico per confermare la diagnosi e la successiva terapia perché non aveva i soldi per pagare. Solo dopo averla rassicurata che non doveva preoccuparsi delle spese è risalita sul pulmino con la bimba. Questo primo approccio ci ha fatto riflettere sulla nostra impotenza davanti a problemi clinici ma soprattutto gestionali a cui non siamo abituati, il doverli affrontare non con la nostra formazione di medici del “mondo ricco” ma in maniera empirica e direi quasi approssimativa ci preoccupa, ci chiediamo se saremo in grado di soddisfare i bisogni e le aspettative di chi avremo davanti.
Ci presentiamo la mattina al First Medical Care di Mugulu, piove a dirotto, ci accoglie l’infermiera che gestisce il centro con in braccio la figlia, una bimba di un anno, non ci sono pazienti ad aspettarci.
Cerchiamo di organizzarci: Marta nella sala anteriore compila una scheda di accettazione, successivamente la o il paziente passano nella sala posteriore dove vengono visitati alternativamente da me o da Giovanni, finita la visita, medico e paziente concludono nella sala anteriore dove vengono consegnati i farmaci, per lasciare la “sala visita” all’altro medico con un altro paziente, per ottimizzare tempi e spazi. Nell’arco di pochi minuti vediamo che davanti al centro clinico si è formata una piccola folla, le visite si susseguono una dopo l’altra senza sosta, ci aiuta anche Stefania, che ha esperienza di volontaria alla Misericordia. Si vedono casi clinici, i più disparati, ci adeguiamo subito ad un approccio empirico. Nonostante cerchiamo di velocizzare il tempo delle singole visite, abbiamo rodato la nostra organizzazione e procediamo in maniera rapida, la coda davanti all’ambulatorio aumenta, prevalentemente donne e bambini, pochi uomini, qualche anziano. Intorno alle 14,00 ci dicono che davanti al Blessed Doctors Clinic Namungo ci aspettano per le visite del pomeriggio. Ci guardiamo per decidere che fare, non possiamo mandar via le decine di persone in fila a Mugulu, d’altra parte non possiamo deludere le aspettative di chi ci aspetta davanti all’altro centro clinico. Decidiamo che ci separiamo: Giovanni e Marta rimangono a Mugulu e io con Nicola e Benedetta, che hanno dato la loro disponibilità, ci spostiamo nell’altro centro clinico. Nel secondo ambulatorio la logistica è migliore, le stanze un po’ più grandi, nella sala c’è un lettino da visita. Il dottor Robert che di solito gestisce il centro clinico, ci fa da interprete dal luganda (lingua locale) all’inglese, Nicola compila la scheda anamnestica e me la passa. Io faccio la visita alla presenza di Benedetta, considerando che si tratta prevalentemente di donne. Finita la visita mi sposto nella stanza davanti, prendo i farmaci dallo scaffale, detto le modalità di somministrazione a Benedetta che le spiega con l’aiuto di Robert alle pazienti consegnando i farmaci. E via, avanti un’altra. Un bel gioco di squadra nello spirito del Bhalobasa. Per evitare assembramenti si fissa un numero massimo di pazienti. Intorno alle 17,00 ci incontriamo con gli altri, siamo stanchi, ma soddisfatti di quanto fatto, nel nostro piccolo pensiamo di aver dato a questa gente la possibilità di essere visitata da un medico, di ricevere una terapia gratuita, grazie a Bhalobasa. Abbiamo fatto più di 80 visite.
Confrontandomi con Giovanni sui casi visti, ci rendiamo conto che il caso di una ragazzina di 13 anni con gli esiti di una grave ustione che le impedisce di usare il braccio andrà affrontato chirurgicamente. Decidiamo di contattare via mail l’ospedale chirurgico pediatrico di Entebbe gestito da Emergency con il quale Giovanni aveva preso contatti prima della partenza. L’indomani, mentre siamo a pranzo sul prato, davanti casa della famiglia di Moses, si avvicina un bimbo con un cartello scritto in inglese, non capiamo, ci spiegano che è venuto a ringraziarci perché il giorno precedente l’avevamo visitato. Ci guardiamo con Giovanni e Marta e pensiamo che ricompensa migliore dopo quella giornata di fatica non potevamo avere. Abbiamo già ricevuto la risposta di Emergency, trattano questi casi e sono disponibili a valutare ed eventualmente operare V., questo il nome della bimba, naturalmente tutto gratuitamente. Prima di partire andremo a visitare l’Emergency Pediatric Hospital di Entebbe e a prendere accordi per fare valutare V.
P. S. Penso al nostro tanto vituperato Servizio Sanitario che rappresenta un caposaldo di civiltà del nostro paese e che qualcuno vorrebbe smantellare.