di Carlo Fagiolini
Doveva svolgersi in ottobre, ma era stato annullato. Riproposto a novembre, dal 17 al 26, ci siamo imbattuti nei problemi ipotizzati per il mese prima.
Se profughi sono coloro che devono fuggire, in avanti, dal territorio dove avevano dimora, ebbene Alessandro (presidente) Matteo (vice), Suor Marie Jeanne, Alice, Marco ed io, siamo stati dei profughi dalle province del Kivu, in Congo. Il programma del nostro viaggio ha dovuto subire modifiche, facendoci passare più tempo del previsto In Rwanda. Abbiamo sentito la prima preoccupazione quando non siamo potuti partire da Bukavu, Sud Kivu, per Goma, Nord Kivu, entrambi in Congo. Erano stati sospesi i collegamenti con la nave tra le due città che si affacciano sul grande Lago Kivu; Goma era stata occupata dalle milizie ribelli del Movimento M23, e la popolazione civile stava fuggendo via da quella città. Abbiamo deciso allora di ripiegare verso il Sud Kivu, dove pure abbiamo dei sostegni, transitando per Bukavu. Ma la sera prima della partenza, durante un lugubre incontro (anche perché mancava la luce elettrica) abbiamo cenato con le suore che ci ospitavano a Katana, un villaggio fra Bukavu e Goma. Al termine la Madre Generale ci ha informati che Bukavu era in rivolta con barricate e strade interrotte da manifestanti ostili all’esercito ribelle M23, che stava preparandosi all’occupazione anche di questa città. Dopo cena, al termine di quella triste serata, dissi alla Madre Generale che eravamo sensibilmente preoccupati e praticamente nelle sue mani. Ella mi rispose che le sue mani erano in quelle di Dio. Ci potevamo aspettare di tutto. Ma siamo tornati a casa, vivi e felici.
Se avessimo stipulato una polizza di assicurazione sulla vita per quel viaggio, di sicuro ci sarebbe costata cara, non tanto per il rischio corso quando abbiamo dovuto fuggire da Katana, ma per il pericolo che avevamo corso tre giorni prima nella corsa in taxi con autista da noi noleggiato per raggiungere Bukavu da Kigali, la capitale del Rwanda. Questo chauffeur, in discese ripide aveva guidato contromano su tre o quattro curve coperte, a velocità sostenuta e con i freni che puzzavano di bruciato già da tempo. Se fosse sopraggiunto un camion o un autobus in senso contrario sarebbe finito il nostro viaggio, non solo in Congo, ma anche quello del resto della nostra vita. Inutili erano risultati gli inviti che rivolgevamo all’autista raccomandandogli prudenza e calma. Non capiva una parola del nostro francese o inglese. Aveva fretta perché era stato pagato a forfait per condurci fino a Bukavu, e non per il tempo che ci avrebbe impiegato.
L’allegria e l’ottimismo, lo spirito di affrontare tante difficoltà e disagi nel migliore dei modi di tutti noi sei, volontari Bhalobasa e avventurieri al limiti dell’incoscienza, hanno reso il viaggio in Congo, piacevole, divertente e utile per la nostra missione.
Per quanto tutti noi fossimo preparati a visitare quel paese, abbiamo spesso riflettuto e commentato, confermando che il Congo, come tutto il Sud del Mondo, è povero e in miseria, e pieno di contraddizioni. I paesi che hanno maggiore instabilità politica, con violenze sociali o guerre in corso, sono quelli più ricchi di risorse naturali, contese fra tribù, popoli o nazioni rivali, spalleggiati dalle imprese multinazionali dei paesi sviluppati, che hanno interesse ad approvvigionarsi delle loro materie prime, e che perseguono il profitto senza scrupoli sulle spalle di quella gente. Il commercio delle armi è conseguente alle strategie economiche che le imprese del Nord del mondo mettono in pratica, appoggiandosi di volta in volta alle varie fazioni indigene, armandole ed aspettando di impossessarsi delle loro risorse naturali con i più bassi prezzi possibile. Per fare alcuni esempi, La Repubblica Democratica del Congo possiede miniere di stagno, oro, coltan e tantalio, metalli essenziali alle industrie dell’elettronica come la Apple, la Intel e l’ HP.
La visita del nostro gruppo di volontari a Kigali, in Rwanda, al Memorial del genocidio che testimonia il massacro di quasi un milione di persone fra l’aprile ed il luglio 1994, ci ha turbati. Per noi europei non è difficile capire quali siano state le nostre colpe e debolezze, prima con il colonialismo tedesco e belga che ha fomentato e legalizzato le rivalità tribali, e dopo l’indipendenza con l’inefficacia e la sottovalutazione da parte dell’ONU del pericolo esistente alla vigilia di quell’infernale bagno di sangue. Ma la storia la fanno i vincitori, e le fazioni che alla fine prevalsero, a torto o a ragione ma pur sempre con le armi, ora sono quelle che governano il Rwanda. A Kigali, così come in Congo, abbiamo rilevato un notevole spirito omertoso in tutta la gente. Alle nostre domande su come si svolsero certi fatti o su come stanno andando le cose oggi, non abbiamo mai avuto risposte. Avevano paura di parlare, come ci ha confermato più volte Suor Marie Jeanne. Questo evidenzia dunque che i problemi razziali sono tutt’altro che risolti. C’è l’impressione che fra il Rwanda, la Repubblica Democratica del Congo, l’Uganda e altri stati della regione dei Grandi Laghi africani esistano latenti voglie di prevaricazione o rivincita. In questo contesto si inserisce l’obiettivo militare del Movimento M23, i cui scopi nessuno ci ha saputo chiarire né in Congo né in Rwanda. Di sicuro il Nord del mondo non fa quanto sarebbe in suo potere per evitare nuovi conflitti in avvenire. E le grandi imprese multinazionali europee e nord-americane con i loro interessi economici alimentano più o meno consapevolmente il fuoco che cova sotto la cenere.
Lo scopo primo del nostro viaggio, nel rigoroso spirito Bhalo, è stato quello di verificare la realizzazione dei nostri progetti materiali e il risultato dei sostegni a distanza per i bambini e giovani studenti. Siano rimasti soddisfatti dai risultati che stiamo raggiungendo in Congo. Laggiù abbiamo incontrato giovani studenti seri, ordinati e volenterosi. Le nostre risorse finanziarie non arrivano a loro invano.
Un aspetto che ci ha colpito in modo particolare è l’efficienza, la precisione e l’ordine delle strutture gestite dalle suore, come scuole e orfanotrofi, nella più completa assenza di ogni servizio pubblico statale. I risultati dei nostri interventi in Congo dovrebbero essere presi a modello per quelli non altrettanto soddisfacenti raggiunti da Bhalo in altri paesi del Sud del Mondo.
Quello che ci ha rallegrato di più sono stati i sorrisi, l’allegria, l’impegno e la disciplina di centinaia di bambini congolesi, che hanno preparato una feste di tante scuole organizzata in nostro onore, dove ci hanno accolto con canti e balli inneggianti alla pace.