Nessuno merita di morire in mare
L’attività di Rainbow for Africa e la collaborazione con Bhalobasa
Parlare di migrazioni in Europa non è facile. La storia degli ultimi 2000 anni è stata caratterizzata da continui movimenti di popoli che sono stati determinanti per il nostro continente ed anche i grandi spostamenti di questo secolo solo apparentemente sono legati tra loro: in realtà ogni essere umano in movimento ha una sua storia e dovrebbe essere considerato a parte. “Migranti Forzati” è la definizione che oggi ci piace adottare, in contrasto con le sterili categorie della Convenzione di Dublino che vorrebbe identificare migranti più o meno “legittimi” sulla base delle motivazioni che spingono allo spostamento.
Rainbow for Africa Onlus è una ONG nata per offrire assistenza e formazione medica in Africa. Nel 2015 ci siamo trovati quasi per caso ad inviare farmaci e generi di prima necessità a Lesbo, in quei mesi estivi la piccola isola dell’Egeo si ritrovava ad essere la porta di ingresso dell’Europa per centinaia di migliaia di uomini in fuga dalle guerre mediorientali ed una nazione come la Grecia non era grado di sostenere il peso di un evento di così ampia portata. E’ così che abbiamo gradualmente esteso la nostra presenza prima a Lesbo e poi in altre isole dell’Egeo, fornendo medici volontari e cliniche mobili, preparate dai nostri amici di MissionLand, per assistere le persone allo sbarco e nei campi di prima accoglienza. La nostra esperienza africana ci permetteva di essere tecnicamente pronti ad affrontare quel tipo di lavoro, ma non eravamo umanamente preparati ad essere spettatori di un evento così drammatico.
Ricordo la mia prima notte nella nostra clinica al porto di Mytilene, capoluogo di Lesbo: intorno alle 6 del mattino una nave di soccorso norvegese attraccò al molo scaricando in quello squallido piazzale di cemento centinaia di persone, tra cui oltre dieci bambini piccoli in braccio ai loro genitori, completamente bagnati, freddi e non responsivi. Una corsa contro il tempo per poterli asciugare e scaldare, prevenendo la progressione dell’ipotermia. Scoprimmo con grande stupore in quei giorni che i trafficanti usavano somministrare sciroppi sedativi per non farli piangere sui gommoni, esponendoli pericolosamente al freddo. E se cadevano in mare non c’era speranza di salvarli, i giubbotti salvagente falsi che venivano venduti in Turchia si imbevevano di acqua trascinando a fondo anche i pochi capaci di nuotare.
Non eravamo davvero pronti a veder morire persone che attraversavano quelle 10 miglia di mare che noi potevamo superare comodamente con il traghetto quotidiano, pagando solo pochi euro.
Quando l’accordo UE-Turchia ha posto temporaneamente fine alla migrazione balcanica avevamo ormai maturato molta esperienza, ma soprattutto non potevamo dimenticare il dramma di cui eravamo stati testimoni e abbiamo quindi deciso di guardare a quello che succedeva sulle nostre coste.
Dal 2013 ad oggi il Canale di Sicilia è teatro di una delle più estreme traversate migratorie del mondo, sono mediamente 150.000 le persone che ogni anno tentano di raggiungere il nostro paese e da qui l’Europa a bordo di precarie imbarcazioni, attraversando le oltre 200 miglia di mare aperto. Nessuna invasione, ma un flusso costante di storie e provenienze diverse, gestito da trafficanti senza scrupoli nella Libia in preda alla guerra civile. La rotta più pericolosa del mondo: nel 2016 secondo l’UNHCR almeno 1 migrante ogni 47 è scomparso per sempre tra i flutti. E nessuno sa quanti periscono nel superare il deserto o per le violenze subite in Libia.
L’incontro fondamentale è stato quello con alcuni giovanissimi berlinesi che come noi sentivano il dovere morale di intervenire in favore di questi esseri umani che continuavano a morire, mentre quasi tutti gli stati europei si facevano da parte nell’intervento di soccorso. Questi ragazzi hanno fondato un’associazione di volontariato, Jugend Rettet e.V., ed attraverso il crowdfunding sono riusciti ad acquistare ed armare una nave di soccorso, la Iuventa. E’ stato quasi scontato trovare una sinergia con loro, offrendo la nostra esperienza medica per questa missione. Adesso la Iuventa si trova nel cuore del Mediterraneo e sono già migliaia le persone che abbiamo recuperato dalle imbarcazioni precarie con cui si lanciano verso l’Italia, molte purtroppo quelle per cui siamo arrivati troppo tardi.
Il nostro obiettivo è il soccorso, ma anche testimoniare questo dramma affinché la società civile chieda con forza una soluzione, anche per questo l’incontro con Bhalobasa è fondamentale.
Ed esiste una sola soluzione possibile: creare canali umanitari sicuri per tutti coloro che fuggono, nessun essere umano merita di morire in mare.
Il Progetto Asylum
Sia l’esperienza della “Rotta Balcanica” sia il contatto quotidiano con i migranti nel nostro paese ci ha messo di fronte ad una migrazione dalla caratteristiche nuove e di conseguenza a nuovi problemi da affrontare nella risposta umanitaria. Elemento centrale di questo recente flusso è la figura del “migrante transitante”, se infatti molti pensano che la destinazione di queste persone sia il primo paese di accoglimento, come l’Italia o la Grecia, in realtà questo rappresenta solo la prima tappa di un lungo viaggio, spesso finalizzato a ricongiungersi con parenti già emigrati o semplicemente raggiungere luoghi con migliori possibilità di integrazione. Come organizzazioni mediche ci siamo presto resi conto della difficoltà di mantenere una continuità terapeutica durante questo viaggio, mancando la possibilità di passare le informazioni sanitarie essenziali ai medici incontrati durante le varie tappe del percorso. Purtroppo l’ordinaria modulistica cartacea, rilasciata comunemente negli ospedali, viene immediatamente distrutta dai migranti, essa infatti potrebbe costituire una prova del loro viaggio ed essere utilizzata per respingimenti, in ottemperanza del perverso meccanismo di Dublino. Inoltre il crescere dei numeri impone di raccogliere il maggior numero possibile di dati scientifici sulle condizioni sanitarie dei migranti, al fine di migliorare la nostra opera assistenziale e renderla più adeguata alle necessità epidemiologiche. Nonché disinnescare falsi allarmismi riguardo alla presenza di pericolose patologie infettive.
Da questi riscontri avuti sul campo nasce l’idea di Asylum, grazie all’impegno di Marioluca Bariona e del team di Rainbow for Africa. Il sistema Asylum è basato su un piccolo software che permette la raccolta di una completa scheda sanitaria del migrante giunto all’osservazione del medico. Il referto viene salvato ed inviato in una banca dati, utilizzabile anche a fini di ricerca, mentre la relazione medica viene stampata su una speciale scheda di materiale impermeabile e resistente. Il prodotto finale di Asylum è una piccola tessera di 85,6 × 54 mm, facilmente trasportabile e se necessario occultabile, con un codice QR bidimensionale in grado di contenere fino a 4.200 caratteri, attraverso questo codice qualsiasi sanitario incontrato nel viaggio potrà accedere con un semplice smartphone ai dati raccolti dal nostro team, anche in assenza di una connessione internet. Al paziente viene consegnata la card e vengono date poche semplici raccomandazioni di utilizzo. Questa tecnologia necessita solamente di un tablet, stampante portatile e delle schede, risultando pertanto estremamente economica anche in un utilizzo estensivo.
Grazie al sostegno di Bhalobasa, Asylum è oggi operativo nel Mediterraneo: il team medico a bordo della nave Iuventa lo utilizza in favore dei migranti soccorsi e visitati nelle acque antistanti la Libia. I dati raccolti vengono poi utilizzati da Rainbow for Africa per monitorare la missione, migliorando se necessario la risposta.
Il progetto Asylum è gratuito, sperimentale ed in continua evoluzione; è obiettivo degli sviluppatori e di Rainbow for Africa la sua diffusione per garantire un sempre migliore accesso alle cure mediche a chi compie il difficile viaggio verso la speranza di un nuova vita.
Il progetto Asylum è accessibile a tutti collegandosi su www.asylum.cloud dove, oltre alle informazioni tecniche, è disponibile anche l’applicazione dimostrativa.
Stefano Spinelli
Rainbow for Africa